Introduzione
“Il SEO è morto.”
Una frase che ciclicamente torna a farsi sentire ogni volta che il mondo digitale attraversa una trasformazione. Lo abbiamo sentito con l’avvento dei social media, con l’algoritmo Panda, con la voice search, con l’ascesa dei contenuti video. Oggi, però, la domanda assume un peso diverso. Perché a metterne in discussione l’esistenza non è solo un cambiamento di piattaforma o un aggiornamento algoritmico, ma una rivoluzione tecnologica molto più profonda: l’intelligenza artificiale generativa.
Strumenti come ChatGPT, Perplexity, You.com e il nascente Search Generative Experience di Google stanno ridefinendo radicalmente il concetto stesso di “ricerca”. Gli utenti non cercano più link, cercano risposte. E le vogliono subito, senza passare da una SERP affollata di contenuti simili. In questo scenario, la SEO come l’abbiamo conosciuta – fatta di keyword, backlink e ottimizzazione on-page – sembra perdere terreno.
Ma è davvero così? È davvero arrivato il momento di archiviare il SEO tra le pratiche obsolete, oppure siamo semplicemente davanti all’ennesima evoluzione di una disciplina che, da sempre, si adatta al cambiamento?
In questo articolo cercheremo di rispondere in modo chiaro, analizzando il contesto attuale, i nuovi modelli di ricerca basati sull’AI, il ruolo di Google in questo cambiamento e cosa tutto questo significa, concretamente, per chi lavora nel digitale.
Le origini del dibattito
Dichiarare la morte del SEO è una tradizione quasi quanto il SEO stesso. Ogni volta che cambia il modo in cui le persone navigano, ogni volta che Google aggiorna il proprio algoritmo, ogni volta che emerge una nuova tecnologia o piattaforma, qualcuno si affretta a decretare la fine di questa disciplina. Ma la realtà è che il SEO, sin dalla sua nascita, non è mai stato statico: è un terreno che si muove continuamente, e che impone a chi lo pratica una naturale attitudine al cambiamento.
All’inizio, il gioco era semplice: posizionarsi significava inserire la parola chiave giusta, nel punto giusto, il maggior numero di volte possibile. Poi è arrivata l’epoca dell’intento di ricerca, dei contenuti rilevanti, dell’autorevolezza del dominio. E ancora: mobile-first, esperienza utente, Core Web Vitals, ricerca vocale, featured snippet. Ogni passaggio ha richiesto un ripensamento delle strategie e delle competenze.
La forza del SEO è sempre stata proprio questa: non essere mai uguale a sé stesso. La sua “morte” è stata annunciata più volte, ma ogni volta è rinato sotto una nuova forma, più sofisticata, più integrata, più strategica.
Quello che rende diversa l’attuale ondata di dubbi è che oggi non si parla più solo di cambiare regole del gioco, ma del gioco stesso. L’intelligenza artificiale non si limita a influenzare il modo in cui i contenuti vengono classificati, ma ridefinisce direttamente il modo in cui le persone accedono all’informazione. Ed è qui che la domanda – “Il SEO è morto?” – assume una rilevanza più profonda e legittima rispetto al passato.
L’impatto dell’AI sulla ricerca
L’intelligenza artificiale sta modificando radicalmente il modo in cui le persone cercano e consumano informazioni online. Non si tratta più solo di un miglioramento dell’algoritmo, ma di una vera e propria disintermediazione del processo di ricerca: l’utente formula una domanda e riceve una risposta diretta, sintetica, spesso contestualizzata, senza passare da una lista di link.
Strumenti come ChatGPT con browsing, Perplexity.ai, You.com e altri modelli conversazionali offrono oggi un’alternativa concreta alla classica SERP. Non mostrano solo contenuti, li interpretano, li riorganizzano e li restituiscono sotto forma di testo coerente, generato in tempo reale. Questo approccio sta spostando l’attenzione dalla “scoperta dei risultati” alla “fruizione immediata della risposta”.
Nel frattempo, anche Google sta ridefinendo la propria esperienza utente attraverso la Search Generative Experience (SGE): una nuova modalità di ricerca che integra output generativi direttamente nella SERP. In molti casi, la risposta dell’AI viene mostrata prima dei risultati organici, occupando lo spazio più visibile della pagina. Il concetto stesso di “prima posizione” si dissolve in favore di una visibilità più fluida, distribuita e guidata dall’intelligenza del sistema.
Questo nuovo paradigma riduce, di fatto, la percentuale di clic sui risultati organici tradizionali, aprendo a scenari in cui il contenuto viene consumato senza mai visitare il sito. È il fenomeno ormai noto come zero-click search, amplificato dall’AI. Per chi fa SEO, questo significa dover ripensare completamente l’obiettivo della visibilità: non si tratta più solo di posizionarsi, ma di essere inclusi, citati, interpretati e contestualizzati dai sistemi intelligenti.
L’AI non elimina la ricerca: la trasforma. E con essa, trasforma anche le logiche di ottimizzazione che per anni hanno guidato la presenza online dei brand.
Google tra crisi e trasformazione
Da protagonista indiscusso della ricerca online, Google si trova oggi in una posizione ambivalente: da un lato, guida l’innovazione integrando l’intelligenza artificiale generativa nei suoi prodotti; dall’altro, subisce la pressione di nuovi attori capaci di offrire esperienze di ricerca più rapide, personalizzate e orientate alla risposta, piuttosto che al click.
Il lancio della Search Generative Experience (SGE) rappresenta la risposta strategica di Google alla crescente diffusione di modelli conversazionali come ChatGPT e Perplexity. Con SGE, Google integra direttamente nella SERP una risposta generativa che precede i risultati organici e, in molti casi, li riassume o li rende addirittura superflui. È una mossa che cambia profondamente le regole del gioco: la visibilità non si misura più solo in termini di posizionamento, ma nella capacità del proprio contenuto di essere selezionato, citato e compreso dal sistema generativo.
Parallelamente, Google sta affrontando un calo misurabile del traffico organico verso molti siti web, in particolare nei settori editoriali e informativi. I contenuti di proprietà – featured snippet, pannelli informativi, box di notizie, video YouTube – occupano quote sempre più ampie dello spazio visivo, spingendo i risultati tradizionali più in basso e, in molti casi, al di fuori del campo visivo immediato. L’aumento delle cosiddette zero-click searches ne è una conseguenza diretta.
In questo contesto, il ruolo di Google si sta trasformando: da motore di ricerca neutrale a piattaforma editoriale intelligente, capace non solo di indicizzare ma di interpretare e sintetizzare l’informazione, secondo logiche sempre più proprietarie. Per i professionisti del SEO, questo significa operare in un ecosistema dove le regole non sono più trasparenti e dove il valore di un contenuto non è determinato solo dalla sua qualità intrinseca, ma anche dalla sua capacità di dialogare con l’intelligenza artificiale che lo seleziona.
Il dominio di Google non è finito, ma si trova oggi in una fase di ridefinizione profonda, con nuove sfide tecnologiche, etiche e strategiche da affrontare. Il futuro del SEO passa anche da qui: comprendere non solo come funziona Google, ma cosa sta diventando.
SEO oggi: cosa è davvero cambiato
Nel mezzo di questa trasformazione guidata dall’AI e dalle nuove modalità di ricerca, il SEO non è scomparso: è cambiato. Profondamente. Non basta più conoscere le keyword giuste o ottimizzare il title di una pagina. Il nuovo SEO richiede una comprensione più ampia e strategica dell’ecosistema digitale in cui il contenuto vive, viene distribuito e – soprattutto – interpretato.
La prima grande trasformazione è l’affermazione dell’intento di ricerca come asse portante. Google e i nuovi motori AI premiano i contenuti che rispondono in modo autentico, chiaro e contestuale alle reali domande degli utenti. Non si tratta solo di “cosa” viene detto, ma di “come” e “perché”. La pertinenza semantica ha superato il concetto di corrispondenza testuale, portando con sé l’urgenza di progettare contenuti che sappiano intercettare i micro-bisogni informativi in ogni fase del customer journey.
Anche le metriche stanno cambiando. Oggi si parla sempre più spesso di E-E-A-T (Experience, Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness): un sistema di valutazione qualitativa che dà centralità all’autorevolezza del contenuto e alla credibilità della fonte. In un panorama sovraccarico di informazioni, la fiducia diventa un fattore SEO tanto quanto la struttura tecnica del sito.
Parallelamente, l’esperienza utente (UX) è entrata a pieno titolo tra i parametri di posizionamento. Velocità, accessibilità, navigazione fluida e architettura informativa chiara non sono più aspetti secondari: sono elementi strutturali che incidono direttamente sulla visibilità e sulla capacità del contenuto di essere compreso (e scelto) anche dai sistemi AI.
Infine, c’è una crescente attenzione verso formati alternativi: video brevi, long-form content, podcast, contenuti visuali e multimediali integrati. L’ottimizzazione non riguarda più solo il testo, ma l’intera esperienza informativa, anche in ottica cross-platform.
Il SEO di oggi, quindi, è meno meccanico e più strategico. Meno focalizzato su regole da seguire e più orientato alla progettazione di valore. È diventato un lavoro di ascolto, sintesi e costruzione: ascoltare le intenzioni, sintetizzare le risposte, costruire contenuti che siano utili per le persone e leggibili per le macchine.
Cosa NON è cambiato
Nonostante l’evoluzione accelerata della ricerca e l’impatto crescente dell’intelligenza artificiale, ci sono elementi del SEO che non solo resistono, ma continuano a costituire la base solida su cui costruire una presenza digitale efficace. In altre parole, non tutto è stato stravolto.
La ricerca esiste ancora. Le persone continuano a cercare soluzioni, risposte, prodotti e servizi attraverso query esplicite. Cambiano gli strumenti, cambiano le aspettative, ma il bisogno di trovare resta. E finché esisterà una domanda, ci sarà bisogno di contenuti ottimizzati in grado di soddisfarla.
Anche la SEO tecnica rimane una componente imprescindibile. Struttura del sito, velocità di caricamento, ottimizzazione mobile, sicurezza HTTPS, markup strutturati: sono tutti aspetti che continuano a incidere direttamente sulla visibilità nei motori di ricerca, sia tradizionali che AI-driven. Nessuna intelligenza artificiale può restituire un contenuto se questo non è stato correttamente indicizzato, accessibile e strutturato in modo comprensibile per le macchine.
Allo stesso modo, l’analisi dei dati e la capacità di leggere il comportamento degli utenti restano centrali. Capire cosa funziona e cosa no, dove si perdono i clic, quanto un contenuto risponde davvero all’intento di ricerca, è ciò che permette al SEO di rimanere un’attività guidata dall’evidenza, e non dall’intuizione.
Infine, il contenuto di qualità non ha perso il suo valore. Anzi. Nell’era dei contenuti generati automaticamente, distinguersi per originalità, profondità e autenticità è diventato ancora più importante. I modelli linguistici generano sintesi, ma hanno bisogno di fonti affidabili da cui attingere. Chi produce contenuti veri, ben strutturati e con un punto di vista unico ha ancora – e avrà sempre – un ruolo cruciale nel nuovo ecosistema della ricerca.
Il SEO non è (solo) cambiamento. È anche continuità intelligente. Evolvere senza perdere di vista i fondamenti è ciò che distingue una strategia reattiva da una visione solida e duratura.
Verso una SEO aumentata (non sostituita) dall’AI
Contrariamente alla narrazione catastrofista che accompagna spesso l’evoluzione tecnologica, l’intelligenza artificiale non rappresenta la fine della SEO, bensì una sua estensione naturale. I professionisti più lungimiranti non stanno abbandonando le tecniche SEO, ma le stanno integrando con strumenti e processi potenziati dall’AI. È in atto una transizione da SEO “manuale” a una forma di SEO aumentata, in cui l’intelligenza artificiale non sostituisce le competenze umane, ma le amplifica.
Uno degli ambiti più interessanti è il content intelligence: l’uso di modelli linguistici per generare bozze, sintetizzare ricerche, individuare domande emergenti o gap informativi. Non si tratta di delegare la scrittura, ma di utilizzare l’AI come supporto nei momenti più operativi e dispendiosi, liberando tempo per la strategia e la creatività.
Anche l’analisi semantica sta vivendo una nuova fase grazie agli embeddings e ai modelli NLP. Oggi è possibile analizzare in profondità l’intento dietro le query, mappare la prossimità semantica tra contenuti e identificare con maggiore precisione le esigenze dell’audience. Questo significa progettare contenuti più mirati, con una maggiore aderenza al linguaggio naturale dell’utente.
In parallelo, l’AI offre nuove possibilità nel monitoraggio delle performance: strumenti predittivi, automazione dei report, alert intelligenti su fluttuazioni nel traffico organico. Il SEO diventa più reattivo, ma anche più proattivo, grazie a una lettura dei dati che non si limita alla descrizione, ma arriva alla previsione e ottimizzazione continua.
Il vero valore, però, sta nel saper governare questa tecnologia. L’AI richiede prompt efficaci, supervisione critica, adattamento ai contesti. Non è un sostituto, ma un copilota: accelera, suggerisce, orienta, ma non guida. Serve comunque una mente strategica capace di definire la direzione, comprendere il mercato, interpretare i risultati.
In sintesi, chi lavora nel digitale non deve scegliere tra SEO e AI, ma imparare a farli dialogare. Perché il futuro della visibilità online non sarà appannaggio né dell’algoritmo, né del contenuto in sé, ma dell’equilibrio tra intelligenza umana e artificiale.
Il futuro: SEO come disciplina evolutiva
Più che morire, il SEO si sta trasformando in una disciplina sempre più ibrida, trasversale e strategica. L’ottimizzazione per i motori di ricerca sta lasciando spazio a un concetto più ampio: la Search Experience Optimization. In altre parole, non si tratta più solo di farsi trovare, ma di offrire un’esperienza di valore all’interno dell’ecosistema della ricerca, qualunque sia la piattaforma, il formato o il touchpoint.
In questo nuovo scenario, il SEO si fonde con altri ambiti chiave del digital marketing: UX design, data analysis, content strategy, branding e conversion rate optimization. Il posizionamento non è più un obiettivo isolato, ma un tassello di un percorso più ampio in cui la visibilità, la credibilità e l’efficacia del messaggio devono coesistere in modo armonico.
Anche i canali si moltiplicano: la ricerca non vive più solo su Google. Si fa su YouTube, Amazon, TikTok, Spotify, nei chatbot, nei motori AI embedded nei siti, nei marketplace verticali. Ogni spazio digitale in cui un utente formula una domanda – in forma scritta o vocale – diventa un ambiente in cui si fa SEO. E ogni risposta rappresenta un’opportunità per i brand di posizionarsi, non solo come fonte, ma come soluzione di fiducia.
Il professionista SEO del futuro non sarà (solo) un tecnico, né (solo) un copywriter: sarà un orchestratore di segnali, capace di leggere il linguaggio degli algoritmi e quello delle persone, di progettare contenuti orientati all’esperienza e di tradurre i dati in decisioni.
Chi continua a interpretare il SEO come un insieme di regole da applicare rischia di rimanere indietro. Chi, invece, lo intende come una disciplina in evoluzione costante, in grado di assorbire nuovi strumenti e visioni, sarà in grado non solo di sopravvivere, ma di guidare il cambiamento.
Concludendo…
Il SEO non è morto. È semplicemente cambiato. E continuerà a cambiare.
L’intelligenza artificiale, i nuovi comportamenti degli utenti, la trasformazione dei motori di ricerca in piattaforme conversazionali stanno ridefinendo i confini di questa disciplina. Ma il bisogno di trovare informazioni, prodotti e soluzioni online non è scomparso. È diventato più sofisticato, più rapido, più selettivo. E richiede risposte altrettanto evolute.
Il SEO oggi non può più essere visto come un insieme di tattiche isolate per “piacere a Google”, ma come una leva strategica integrata nella progettazione dell’esperienza digitale. Non si tratta solo di ottimizzare per gli algoritmi, ma di pensare come gli utenti, agire come i brand e collaborare con le macchine.
Chi saprà abbracciare questa evoluzione, mantenendo saldi i fondamenti ma aprendosi a nuove competenze e strumenti, continuerà a generare valore. Non per il motore di ricerca in sé, ma per chi sta dall’altra parte dello schermo: l’essere umano che cerca, sceglie e decide.
Dunque no, il SEO non è morto. Sta solo diventando adulto.
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